mercoledì 31 luglio 2013

Elemosina






Sempre allo stesso incrocio, sotto lo stesso palo, sempre lo stesso cappotto in estate e in inverno, sempre le stesse scarpe e la barba lunga.


Un viso giovane che potrebbe essere mediorientale, ma anche italiano o afgano; i tratti sono delicati e molto gradevoli nonostante la condizione in cui si trova.

Si dondola l’essere umano che chiamiamo ‘barbone’, come a volte fanno i bambini, facendo meccanicamente con la mano il gesto di imboccarsi.


Le macchine sfrecciano, la gente a piedi non lo guarda e tira dritto di corsa, poi il semaforo diventa rosso e lui comincia la questua ai finestrini, senza parlare, solo facendo il gesto di imboccarsi. Ogni tanto mi volto indietro e osservo, vedo che praticamente nessuno fa l’elemosina e poco prima che scatti il verde lui corre al suo posto.


Quasi ogni giorno gli porgo una moneta e lui ringrazia con un grande sorriso che però assomiglia ad un pianto, la guarda e a volte corre subito al distributore di panini sull’altro angolo del rondò.


Da un po’ di giorni non è al solito angolo… mi accorgo di preoccuparmi... chissà dov’è, dove dorme, sarà riuscito a mangiare oggi, soffrirà il caldo tremendo che fa adesso in città?

Vorrei sapere come si chiama, qual è la sua storia, come è finito così ma fin’ora mi è mancato il tempo, il coraggio, la forza di fermarmi a parlare. Cosa potrei fare di concreto per lui al di là del pronunciare qualche parola gentile, cercare di farmi capire indicando la Caritas o la sede del Sermig?


Mi vergogno. Mi vergogno di me stessa e per questa nostra ‘civiltà’ dove ormai il denaro è il metro di misura per valutare le persone.

Secondo questo metro questo essere umano non esiste…

giovedì 20 giugno 2013

Profumo di tiglio...





La città profuma di Tiglio invece che di smog!

Capita solo per pochi giorni all'anno ma è un piacere inebriante.
Andando al lavoro in bicicletta, al mattino mi lascio alle spalle il rumore dell'incrocio rumorosisismo. 

Pian piano il frastuono si allontana come per magia entrando nei Giardini Reali. A volte penso alla corte di un tempo e a come doveva essere assai più forte quel profumo visto che lo smog non esisteva.

Pedalando il profumo mi entra nei polmoni, nel cuore e nella mente, e provoca un'estasi vera e propria.

I piccoli fiori del Tiglio non si vedono, sono piccole macchiette gialle sugli alberi ma Torino ne è piena, e in giugno il profumo diffuso arriva anche dove non si vedono alberi!

Arrivo sulla grande Piazza Castello (da tempo pedonale) prima di imboccare via Garibaldi, ancora semideserta, frequentata solo dalle macchine pulitrici invece che dai fanatici dello shopping, e al profumo si aggiunge il suono delle grida delle rondini con i loro giochi. A vederle sembrano che si divertano un mondo... mi trasmettono gioia. 

Al ritorno il profumo è sempre lì e le rondini ricominciano a quell'ora i loro girotondi di caccia che andranno in crescendo fino al tramonto completo del sole ma non vedo persone che le osservano... 

I fiori, gli alberi, gli uccelli in città sono lì, nascondono segreti, vivono una vita a noi inimmaginabile se non quella che la scienza ci spiega, ma noi corriamo... dove e verso quali 'importantissime' mete non si sa.

Sono fortunata a non andare al lavoro in auto.
Molto fortunata.
In inverno, sui mezzi, osservo gente di ogni tipo e cultura e a volte incontro qualche amico. In estate mi sento completamente libera e felice con poco.






 

mercoledì 8 maggio 2013

Claudio R.




Non ci sono parole per descrivere gli occhi di Claudio quando ti guarda nell'anima.

Penetrante ma dolce, ineffabile, ti entra dentro senza sfiorarti, ti avvolge il cuore con la sua essenza, senza scrutarti, ti comprende senza giudizio.

Il profumo del suo tè di Gelsomino 'vero' che si fa spedire da un'antica bottega di Parigi, è come il suo sguardo... Quel profumo è come il suo mondo antico, nasconde tesori infiniti, fragranze e tonalità ormai dimenticate, riporta in vita ricordi e tesori sepolti dal tempo.

La sua grande casa è abitata dai suoi libri, i loro autori si sono rifugiati lì e solo lì è possibile conversare amabilmente con Aristotele o Plotino, con Charles Dichens o Elsa Morante, con un cinese della dinastia Ming o con un indiano della civiltà dravidica.

Ogni tanto passando si urta una pila di libri, io mi precipito per tirarla su e lui "E' caduto Cartesio, lascialo stare lì per un po', se lo merita..."

La pendola segna le sei e da anni si rifiuta di segnare il tempo; come l'anima di Claudio, si è fermata in un passato dove ancora esisteva la decenza. 

Gas, il gatto, valuta gli ospiti quasi come il suo 'padrone-ospite', con distaccato interesse.

Disincanto e ironia non hanno mai raffreddato il suo cuore e le cose del mondo, pur tediandolo, ancora riescono a catturare la sua attenzione e lui osserva tutto, da dietro il vetro delle sue grandi finestre, al riparo dal vento dell'ignoranza e della barbarie.

In internet, su di lui si trova pochissimo su Claudio Rugafiori; troverete solo citazioni di libri da lui curati per le edizioni Adelphi, alla cui fondazione contribuì nel 1962, come si legge nella "storia" della casa editrice su Wikipedia: 

Aggiornamento 2024: nel luglio del 2023 Il Corriere della Sera, nella sezione Cultura, ha pubblicato l'articolo L'invisibile Maestro dei libri di Paolo Di Stefano. Da allora e da dopo la morte di Roberto Calasso (proprietario e direttore delle edizioni Adelphi) in rete si trova molto di più. Chi è interessato lo può leggere da pag. 25 a pag. 29 di questo Pdf: https://www.oblique.it/images/retabloid/2023/retabloid_lug23.pdf

martedì 19 marzo 2013

Thich Nhat Hanh 


 
La vita è l’arte di portare felicità a noi stessi e agli altri.
Thich Nhat Hahn


Thich Nhat Hanh, il Gandhi del Vietnam, ci propone un buddismo laico, fortemente impegnato nel sociale, dove l’obiettivo è l’illuminazione collettiva. Solo così si potrà un giorno arrivare alla pace.

Se qualcuno mi chiede: “Chi è il tuo maestro?” Io rispondo che non ho un maestro se non il dio che è dentro di me. Può sembrare presuntuoso ma in realtà non faccio che seguire le parole del maestro Buddha. Così pensa anche Thich Nhat Hahn, detto Thay, che vive e lavora in Francia, nella comunità buddista da lui fondata, il Plum Village, il ‘villaggio dei pruni’, a cento kilometri da Bordeaux.
Il suo è un buddhismo per laici, che esce dai monasteri per venire incontro alla gente che soffre. Ai tempi della terribile guerra in Vietnam con incredibile coraggio continuò, con i suoi operatori sociali, a dare aiuto alla popolazione non allineandosi con nessuno dei due partiti che combattevano, i comunisti o gli anticomunisti filo-americani.

Ne avevo sentito parlare, ma reduce da scottanti delusioni sul piano spirituale, non avevo voluto approfondire. Un suo libro mi ha fatto capire, qualche anno dopo, quale incredibile apertura e libertà egli proponesse; il libro in questione é "Perché un futuro sia possibile - Il sutra per i discepoli laici del Buddha" (Ubaldini Editore), titolo molto interessante in tempi come questi.

La consapevolezza dell’interdipendenza di tutte le cose e di tutti gli esseri è il perno dell’etica buddista e l’anima dell’insegnamento che Thich Nhat Hanh presenta al mondo contemporaneo.
Se vogliamo la pace dobbiamo costruirla prima dentro di noi e questo può solo avvenire responsabilizzandoci e rispettando alcuni impegni che ci aiutano a rimuovere alcune delle cause più frequenti della nostra e altrui sofferenza.

La meditazione Vipassana praticata con Thich Nhat Hanh è più dolce e facilitata da visualizzazioni guidate e integrata dalla ‘meditazione camminata’; la meta dell’illuminazione, cioè del ‘risveglio’ del Buddha che è dentro di noi, non è fine a sé stessa ma un mezzo per diventare un ‘Bhodisattva’, un essere che aiuta gli altri a fare lo stesso e così facendo riduce il carico di sofferenza del pianeta. Egli ci invita a non abbandonare la religione delle nostre radici, perché alla base di tutte le tradizioni ci sono gli stessi fondamentali insegnamenti. Mirabili sono alcuni dei suoi commenti e paralleli con la tradizione cristiana.

martedì 5 marzo 2013


L'ambiguità della tolleranza








La parola ‘tolleranza’ etimologicamente deriva dal latino ‘tolerare’ dalla una radice indo-germanica ‘tal’ e suoi derivati, e significa alzare, sollevare, pesare, sopportare.

Tollero significa quindi, in senso allargato: prendo sopra di me, mi arrogo, oso, sopporto, sostengo.

Questa parola ha assunto nel nostro tempo una connotazione molto positiva che si allontana dall’originale. A guardar bene la sua etimologia suggerisce il concetto di uno ‘sforzo di sopportazione’, di ‘accondiscendenza’. Sotto l’uso di questa parola infatti è sotteso il nostro ‘ben pensare’. Ci si sente a posto con la coscienza quando si pensa a noi stessi come a persone ‘tolleranti’, è un sintomo di civiltà, di ragionevolezza, di non-violenza, il contrario della xenofobia, del razzismo, ecc… suggerendo l’idea dell’accettazione.

Nel corso della storia europea, dal Cinquecento in poi, lentamente il significato si è avvicinato a quello del verbo "comprendere", quindi accettare le differenze, apprezzarle e qualche volta perfino amarle.

Ma la linea che separa la ‘tolleranza’ dalla mera ‘sopportazione’ del diverso è sottilissima.

In genere ‘tolleriamo’ situazioni e persone in vista di qualche risvolto positivo per noi.

Facciamo questo sforzo in vista di un qualche guadagno. Si tollerano atteggiamenti antipatici perché la ragione ci suggerisce che quelle persone è bene non contrastarle per ottenere qualcosa, per mantenere un lavoro o un impegno, perché non si può evitare o per quieto vivere.

Tolleranza semmai può quindi essere sinonimo di pazienza ma non di comprensione, accettazione e amore, come l’accezione attuale sembrerebbe suggerire.

Non è quasi mai possibile accettare e poi amare ciò che non si conosce, ma per conoscere bisogna avvicinarsi, anche solo per curiosità, e per avvicinarsi non bisogna avere paura ma desiderio, e per non avere paura, bisogna aver avuto la fortuna di aver assorbito una ‘cultura’ in tal senso, una cultura di abitudine a guardare più ampi orizzonti e abitudine al ‘rispetto’.

Sì, perché il rispetto è essenzialmente una questione culturale.

Se non si posseggono gli strumenti culturali per avvicinarsi con curiosità al ‘diverso’ da noi, come si può sperare di poterlo comprendere?

Possiamo dire che la tolleranza è il minimo requisito per il mantenimento della pace civile, questo certamente è vero, ed a questo bisogna tendere come società di esseri umani degni di tale nome.

Quasi sempre protendiamo ad avere una visione manichea del mondo, anche senza rendercene conto, una netta divisione tra buoni e cattivi e nelle discussioni spesso si parteggia a spada tratta per difendere una posizione per partito preso senza neanche conoscere in profondità i dettagli della situazione.

Penso che la verità invece sia per certi versi paradossale e che ci sia un po’ di nero nel bianco e un po’ di bianco nel nero. La filosofia taoista questo lo insegna egregiamente semplicemente con il solo suo simbolo.

La nostra ‘visione’ delle cose della vita è molto limitata e la nostra mente funziona solo se ci sono parametri spazio temporali, ma la Vita è ben altro.

E’ chiaro che non si può ‘tollerare’ la violenza, ma usare la violenza per reprimere la stessa violenza crea un circolo vizioso che è il germe delle guerre pubbliche e private.

Ci si deve difendere dalla violenza e non cedere ad essa soprattutto dentro di noi, come metodo per farsi giustizia. La violenza è sempre sintomo di debolezza, non di forza. Si arriva alla violenza quando si è incapaci di trovare altri modi di comunicare.

Per assurdo nei Paesi che durante il XIX e XX secolo hanno colonizzato intere regioni del mondo, usando metodi violenti per sopraffare le popolazioni, col tempo, paradossalmente, sono diventati più tolleranti perché sono stati a loro volta ‘invasi’ dalle popolazioni che avevano colonizzato e ora le loro culture si sono col tempo integrate, per esempio l’ Inghilterra, la Francia, l’Olanda, ecc…

Negli Stati Uniti, dopo tre secoli di lotte, un afro-americano è diventato presidente.

L’umanità da secoli si è spostata, con grandi flussi migratori in cerca di condizioni migliori, a volte pacificamente, a volte con molta violenza. Quello a cui assistiamo oggi, se solleviamo lo sguardo al di là del nostro piccolo spazio e al di là del nostro breve spazio temporale, scorgiamo il continuo, ineluttabile contatto con altre civiltà. Sta a noi viverlo in modo positivo, come arricchimento e non come perdità di identità e confusione.

La paura purtroppo è sempre una cattiva consigliera e se trascende la sua funzione di campanello d’allarme per un pericolo imminente, diventa paranoia, diffidenza e causa di astio immotivato che ci fa regredire a stadi primitivi di coscienza.

Ogni mattina e ogni sera, sul bus che prendo per andare e tornare dal lavoro, intraprendo quel breve viaggio con dei compagni sempre diversi. Attraversiamo insieme una zona della città tipica per la sua multiculturalità e quello che vedo sono esseri umani come me.

Al mattino viaggio con le donne di vari colori che vanno al mercato o che accompagnano all’asilo o a scuola i loro bambini. A volte i passeggini vengono issati da altri passeggeri e i sorrisi sciolgono anche la seriosità delle donne musulmane col viso incorniciato dal foulard.

Al ritorno i miei compagni sono quasi tutti uomini con gli indumenti sporchi di calce; sento l’odore della loro fatica ma non provo fastidio perché è l’odore dell’onestà che mi rassicura.

Raramente sale qualche tipo sospetto, in genere sono pesci piccoli del traffico di droga, e in genere si appartano in fondo, parlano piano e si guardano nervosamente intorno con i loro grandi occhi. Più che paura, mi fanno pena e, osservandoli discretamente, mi domando quale disperazione o quale indolenza li abbia portati su quella triste strada e se mai ne usciranno.

In cinque anni ho assistito solo due volte a episodi di ‘intolleranza’ e, ironicamente succedeva, nel primo caso, tra due immigrati, entrambi qui per cercare di avere un futuro migliore quindi ‘sulla stessa barca’, nel secondo caso tra due anziani che hanno finito per suscitare la bonaria ilarità degli altri passeggeri.

Ma un’immagine è rimasta più di ogni altra impressa nella mia mente, tanto bella da sembrare irreale: quattro ragazzine, una cinese, una musulmana, una italiana e una di colore, di circa tredici anni attraversavano di corsa la strada tenendosi per mano. Le loro risate allegre e cristalline si spargevano nell’aria di quel mattino e non c’era nulla di strano, forse… ma era la prima volta che vedevo con i miei occhi la materializzazione, per quanto momentanea, di un sogno di Pace.





Tolleranza – sopportazione, comprensione, rispetto, empatia, simpatia, gentilezza, curiosità, elesticità mentale, desiderio di conoscenza, amore per la cultura, altruismo, interesse per il bene comune, amore per l’umanità, amore per la Natura e per Dio.


Intolleranza - paura, sospetto, riflesso condizionato di fuga e/o aggressione, irritazione, non rispetto, astio, chiusura mentale, fondamentalismo, disinteresse e indifferenza per le altrui sofferenze, egoismo, razzismo, odio.
Porta Palazzo, il mercato multietico di Torino: https://www.youtube.com/watch?v=L8_Z4rMcQQ8
 


lunedì 18 febbraio 2013

 


Dedicato a Wolfi....


"Non so scrivere in modo poetico: non sono un poeta. Non so distribuire le frasi con tanta arte da far loro gettare ombra e luce: non sono un pittore. Non so neppure esprimere i sentimenti  e i miei pensieri con i gesti e la pantomima: non sono un ballerino. Ma posso farlo con i suoni: sono un musicista".


http://www.youtube.com/watch?v=2HbMzu1aQW8




"La morte, amica sincera e carissima dell'uomo (...) la sua immagine non solo non ha per me nulla di terrificante ma mi appare addirittura tranquillizzante e consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi concesso la fortuna di procurarmi l'occasione (...) di riconoscere in essa la chiave della nostra felicità" 

K626, Requiem, Lacrimosa:
http://www.youtube.com/watch?v=k1-TrAvp_xs



"Voglio render felice mia moglie, non servirmi di  lei per fare fortuna. (...) I nobili non possono mai sposarsi secondo i propri desideri e per amore, ma sono sempre costretti a farlo per interesse o per una serie di altre considerazioni (...). Ma noi, povera gente comune, non solo dobbiamo scegliere una moglie che amiamo e che ci ama, ma possiamo e vogliamo sceglierla così perchè non siamo né aristocratici né di alto lignaggio, né nobili né ricchi bensì di bassa estrazione, umili e poveri e dunque non abbiamo bisogno di una moglie ricca. La nostra ricchezza muore con noi, poichè l'abbiamo tutta nella nostra testa e nessuno può sottrarcela a meno che non ci tagliamo la testa e allora... non ci occorre più nulla". 


http://www.youtube.com/watch?v=Qb_jQBgzU-I

venerdì 15 febbraio 2013

Da Romeo e Giulietta (atto secondo, scena terza)

 Da Romeo e Giulietta (atto secondo, scena terza)


Frate Lorenzo:



Grande e potente è la virtù nascosta nelle erbe, nelle piante, nelle pietre, nelle loro intrinseche qualità!


Nulla infatti di quel che vive sulla terra, nulla è così povero che alla terra non dia un qualche bene speciale, nulla vi è di così buono che distolto dall'uso naturale non si ribelli alla sua vera natura, cadendo nell'abuso.


La virtù stessa si fa vizio se male applicata, e qualche volta l'azione rende degno il vizio. Nella tenera corteccia di un fiore ha sede spesso un veleno e una forza medicamentosa. Infatti se viene odorato ti inebria, se viene ingerito, ferma il cuore e tutti i sensi.


Così due sovrani nemici si accampano nell'uomo come nell'erbe: la grazia e la sfrenata volontà, e quando la forza maggiore predomina, rapido il verme della morte divora la pianta.


La casetta del ciliegio


Scrissi questo racconto nel 2008 dopo esser passata per anni per quella strada per Castellazzo, vicino a Novara, che fiancheggia la risaia. Ora il ciliegio non c'è più...

 


C’era una volta un campo di grano, un contadino antico lo coltivava col sudore della fronte. Si riposava nella casetta porta attrezzi dalla calura del mezzogiorno mangiando il suo semplice pasto e sorseggiando vino rosso dalla bisaccia.
Un giorno era molto stanco e si addormentò.
Sognò che dalla sua terra sarebbe nato un sogno per genti future…

Il tempo passava lento, le stagioni si alternavano, l’odore della terra era tanto forte.
Un mare di spighe ondeggiava nel vento.
In estate le cicale cantavano e le grida fanciulle dei giochi all’aperto vibravano nell’aria dalle cascine lontane.

Il tempo passava e venne la guerra.
Carri armati e scarponi lasciarono tracce profonde sul campo infangato.
La casetta diventò rifugio di soldati in quel tempo senza luce.

Il tempo passava e la guerra finì.
La gente cambiava e il campo di grano diventò campo di riso.
In primavera la terra si tinse di cielo e poi di verde brillante.
Arrivarono le rane a cantare i loro amori nelle sere d’estate.

Il tempo passava e da lontano arrivarono le donne. 
Cantavano fatica, nostalgia e speranza e la terra calpestata dai loro piedi nudi, raccoglieva il canto e il sudore di quelle donne.

Il tempo passava e la gente cambiava.
Il contadino padrone morì benestante e contento.
Suo figlio vendette la terra con il campo, e la casetta ebbe un nuovo padrone.
Le macchine sostituirono le donne e la terra paziente beveva veleno per dare più frutti.

Il tempo passava e la neve cadeva. Il peso era tanto e il tetto crollò.
In estate due ragazzi innamorati entrarono nel rudere per amarsi.
Le ciliegie mai così buone e il cielo mai così vicino per loro…
Nuvole bianche, piccole e rade si gonfiarono di risa di gioia per dissetare altra terra.

Il tempo passava e un seme di ciliegia germogliò.
Passò qualche anno al riparo nella casetta, protetto da uccelli e intemperie finché poté finalmente affacciarsi oltre le mura scrostate.

Il tempo passava e il cemento aumentava. 
Il nastro d’asfalto nero come lutto, correva vicino alla risaia e le auto sfrecciavano incuranti. Umani indaffarati rincorrevano il tempo per trasformarlo in denaro.

Il tempo passava e una ragazza cominciò ad amare la casetta col ciliegio. L’amava in ogni stagione, e ogni volta che la vedeva scorrere dal finestrino dell’auto in corsa l’amava di più. Diventò per lei rifugio dell’anima, simbolo di un mondo antico e perduto, del sogno silente di una terra paziente che dona bellezza e vita nonostante gli oltraggi. 


Il tempo passava e la donna sognava rispetto e speranza per la sfera celeste che la ospitava. Una mattina, seduta di fronte a una pagina di vetro, scrisse il suo sogno.
La storia della casa del ciliegio navigò lontano trasportata da impulsi al silicio e fece il giro del mondo.


… Ma…
Il tempo passava e il contadino sognava.
Poi il suo cane abbaiò, si svegliò e riprese il lavoro nel campo di grano.
Le spighe ondeggiavano, le cicale cantavano, i bambini giocavano e il tempo, lento, passava…

giovedì 14 febbraio 2013

 

Bolle Mentali

 

 

Stamattina mentre andavo al lavoro sul mio solito bus, pensavo alle 'bolle'...
Ho come l'impressione che ognuno di noi viva mentalmente chiuso in una 'bolla'. 
Si passa da una bolla all'altra, ma ci sono persone che vivono quasi tutta la vita nella stessa bolla.
Per bolla mentale intendo un'idea preponderante sulla quale si è concentrati e sulla quale si impegna tutta l'energia psichica. Per alcuni è il lavoro, per altri un'idea politica o religiosa, per altri ancora la preoccupazione per la famiglia e i figli, un sentimento, una passione, insomma qualcosa che ci tiene legati lì, a quella particolare sfera della vita. 

Raramente si ha la capacità di astrarsi, anche solo per poco, dal dominio che questa 'bolla' ha sulla nostra mente. Forse è a questo a cui si riferiscono alcune tecniche di meditazione che tendono a farci concentrare sull'essere e basta, sul fatto di essere qui ed ora. Io non pratico alcun tipo di meditazione perché in genere è statica e preferisco la meditazione 'camminata' insegnata dal maestro monaco vietnamita Thich Nhat Hanh, una delle figure più rappresentative del buddhismo nel mondo, vedi: http://www.esserepace.org/thay.html  

E' logico che la mente si  concentri su quello che più le interessa o la assilla. Le 'bolle' sono assolutamente legittime e naturali, anzi, necessarie; il problema è quando sono così fagocitanti che non riusciamo più a disidentificarci da loro e a prendere una vacanza per 'vedere', 'sentire', 'notare' gli altri, la natura, le cose che accadono intorno a noi. Forse era questo che sia il Maestro Gesù che il Maestro Buddha intendevano per 'rimanere svegli', 'non dormire', 'svegliarsi', 'risvegliarsi'...

Personalmente passo da una bolla all'altra, a seconda dei periodi, ma da una decina d'anni ho imparato a mettere il naso fuori dalla mia bolla ogni tanto e a sforzarmi di vedere la realtà con gli occhi di un altra persona per capirla meglio, oppure a considerare le vicende umane, sia le storie personali che nella Storia dell'umanità, come pezzetti di un enorme puzzle più grande che ha senso solo se guardato da una certa distanza. Questa pratica ovviamente implica una serenità di fondo che non si può avere nel bel mezzo di una crisi esistenziale o di qualunque altro tipo ma abituandoci a farlo spesso, può aiutare proprio nei momenti più difficili per relativizzare le situazioni e non farci prendere dalla disperazione oppure a stemperare la rabbia e magari proprio così si possono trovare soluzioni che sembravano impensabili.

Oggi è San Valentino... e a pensarci bene, anche l'innamoramento è una bolla, la più stupenda bolla di tutte!