martedì 18 novembre 2014

Un treno futurista



Questa locomotiva sembra un giocattolo ma in realtà è enorme e si può vedere nel deposito delle Officine di Torino 'Porta Milano' vecchia stazione in Borgo Dora, capolinea della ferrovia Torino-Ceres vedi www.museoferroviariopiemontese.com

Stazione di Verona. 
La bella domenica di primavera sta per finire quindi la stazione è affollata.
L'attesa che ci aspetta per il cambio per Torino è di un'ora e siamo un po' stanchi.
Cerchiamo la sala d'aspetto ma... sorpresa! Non esiste più... 
I sedili attaccati lungo i muri sono tutti pieni.
Ci aggiriamo per l'atrio e troviamo increduli la sala d'attesa 'dedicata' solo ai passeggeri dei Freccia Rossa. Mi sembra un assurdo, comunque io ho la tessera e il mio lui è un ex macchinista con la sua tessera di circolazione.
La sala d'attesa è chiusa, suoniamo il campanello. 
Nessuno risponde. Risuoniamo... niente.
Al banco informazioni ci dicono che il citofono forse è rotto e chiamano loro.
Torniamo là e le porte scorrevoli da astronave si aprono.
Diamo un'occhiata veloce all'elegante sala deserta dove ci sono enormi poltrone rosse.
C'è la reception anche qui con una signora in divisa Trenitalia:

- Buonasera, possiamo accomodarci?
- Buonasera, posso vedere la tessera?
- Certo
- Mi spiace, si può accedere solo con la 'tessera gold' oppure con almeno 30 punti sulla tessera normale
- Cioè lei mi vuol dire - mi scusi non ce l'ho con lei - che in questa sala d'attesa DESERTA non posso accedere neanche con la vostra benedetta tessera???

Tra l'altro la tessera l'avevo ordinata dopo il mio primo viaggio su un Frecciarossa per Napoli dal costo di ben € 100 perchè non avevo approfittato dell'offerta di due settimana prima... infatti non sapevo ancora che sarei potuta partire!!! 
Per consolarmi ho pensato che la tessera mi avrebbe dato qualche vantaggio e invece l'unico 'vantaggio' è quello di ricevere una email ogni due giorni con 'offerte imperdibili'... le offerte consistono in sconti su mostre, partite, concerti, ecc... raggiungibili velocemente con un bel Frecciarossa oppure sconti su hotel a New York se ottieni un certo numero di punti... no comment. 

Il mio amore per i treni è sempre stato viscerale fin da bambina. I modellini li detestavo, io adoravo i treni veri, il loro odore, il loro frastuono, il fischio, la stazione, tutto. Viaggiare in treno è sempre stato un 'non tempo' per meditare, scrivere, leggere, studiare e fare amicizia se se ne ha voglia. Gli scompartimenti sembravano salotti in miniatura e la socializzazione veniva naturale; mi è capitato molto raramente di provare fastidio. Ora si viaggia imbottigliati come sul bus o sull'aereo, non si può passeggiare nel corridoio perchè non esiste più se non stretto tra i sedili. I treni notte sono quasi tutti spariti e le linee secondarie con relative stazioni in disuso abbandonate ai rovi e ai topi. Una sola iniziativa intelligente ha permesso di riutilizzare i locali delle stazioni e qualche raro esempio esiste ma nella maggior parte dei casi i restauri da fare sono talmente radicali da scoraggiare anche i più.

Senza voler tornare indietro al vapore, e tralasciando le polemiche ventennali sul TAV Torino-Lione, la corsa italiana all'alta velocità mi pare alquanto assurda essenzialmente per la delicatissima conformazione del nostro bel territorio.
L'alta velocità non è delicata per niente, nè col territorio (vedi le devastazioni prodotte per poter rendere perfettamente pianeggiante qualsiasi terreno - a 300 kmh non ci si può permettere dossi e avvallamenti - nè con i consumi bisogna infatti costruirgli di fianco una linea elettrica apposta!) nè con i passeggeri, oggi chiamati 'clienti', un po' come il paziente che ora è chiamato 'utente' dell'ASL di competenza.

Sul sito web Trenitalia tutto è fatto apposta per attirarti verso le Freccie e scoraggiarti a prendere un 'altro treno' (Intercity sempre più in ritardo, interregionali lenti, regionali sovraffollati e sporchi) e invogliarti a 'clikkare' su ACQUISTA per paura di perdere l'occasione, esattamente come si acquista ogni altra merce, facendo leva sull'impulsività e sulla sensazione di aver fatto un affare. 
Meschine trovate dei maghi del marketing... ormai tutto il mondo è un enorme mercato in cui si vende di tutto, dal cibo alla cultura, dalla salute ai trasporti, dal lavoro alla spiritualità.
Ci vorrebbe un Gesù con la frusta a scacciarci tutti dal Tempio della Natura (fuori e dentro di noi) che stiamo profanando!

Il sistema di trasporto ferroviario non è più un servizio ma una merce e come ogni altra merce del mercato globale ha le sue offerte speciali, gli sconti, i premi fedeltà.
I ragazzi giovanissimi che non hanno mai viaggiato prima lo trovano assolutamente normale come trovano normali i centri commerciali che si susseguono uno dietro l'altro nelle periferie e lungo le strade provinciali. Io da bambina mangiavo il panino con la frittata verde allungatomi al finestrino da un signore col suo carrettino attrezzatissimo quando l'accellerato si fermava a Ceva... mi ritengo fortunata! 

Questa smania di velocità che passa sopra tutto e tutti mi ricorda il Futurismo, la corrente artistica (che sfociò anche nella politica dell'interventismo verso la I° guerra mondiale) di Filippo Tommaso Emilio Marinetti...

Per giungere alla concezione futurista del provvisorio, del veloce e dell'eroico sforzo continuo, bisogna bruciare la tonaca nera, simbolo di lentezza e fondere tutte le campane per farne altrettante rotaie di nuovi treni ultra-veloci. 

Le tonache nere si son bruciate da sole... le campane per fortuna non sono state ancora fuse, i treni superveloci ora ci sono ma la coscienza umana è lentissima a progredire.
 

lunedì 10 novembre 2014

Homo consumens

Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi



I libri di Bauman si contraddistinguono per acutezza e profondità e questo non è da meno. Cento densissime pagine e in copertina una foto che ritrae dei piccioni come a suggerire il tema del primo capitolo “Mode volatili”.
Il tema affrontato è tra i più inquietanti per i suoi molti risvolti sociali e psicologici cioè il consumismo tipico delle cosiddette “società liquide”. Per società liquida, Bauman intende una società dove nulla è permanente, dove non ci sono saldi valori di riferimento e il consumismo è appunto una delle caratteristiche principali. Nei primi due capitoli Bauman affronta il paradosso della libertà che l’uomo ha di consumare cosa, quanto e come vuole, ma è in realtà “costretto” a consumare se vuole rimanere nella società che si autoalimenta appunto di consumo, per evitare di essere escluso e diventare a poco a poco un emarginato.
Questo nostro attuale sistema – orami tanto diverso da quello della precedente era industriale – non ha più bisogno di molti soggetti che “producono” perché la tecnologia si è evoluta moltissimo e necessita di un numero minore di lavoratori impiegati nella produzione di beni; necessita invece di una schiera immensa di consumatori, a tal punto che tutto è ridotto a bene di consumo che può, anzi deve, essere dismesso e rottamato a breve termine, per essere sostituito da un prodotto più innovativo, più di moda (oppure si è rotto e ripararlo costa più che comprarlo nuovo, la famosa obsolescenza programmata).
Si fa anche grande e veloce consumo di informazioni da cui siamo tutti bombardati ogni giorno dai media on- e off-line, e la strategia di sopravvivenza psicologica indispensabile sembra essere diventata quella del sapersi difendere dalla maggior parte delle informazioni che si ricevono ogni giorno. Le infinite possibilità di scelta tra così tanti prodotti, servizi e informazioni appare come un’incredibile libertà, ma è un sottile inganno percettivo perché vi è una sorta di coercizione soft e tra l’altro “[...] l’obbligo di scegliere presentato come libertà di scelta non solleva alcun dissenso o ribellione, questa è la grande novità rispetto ai sistemi precedenti”; la conseguenza è che tra la gente è sempre più diffusa l’apatia politica.
La gratificazione ritardata un tempo era un valore, come pure il sacrificio dell’oggi per il domani, il sacrificio del singolo per la comunità, e i bisogni del tutto erano più importanti dei bisogni delle parti; ora questi valori vengono considerati oppressivi e contrari alla natura umana. Anche la socialità e la comunicazione nelle comunità sono disgregate quasi ovunque e questo è vero soprattutto nelle grandi città (ma non solo), a causa dell’aumento di barriere fisiche inimmaginabili un tempo (per esempio le aree commerciali di periferia dove si passa solo in auto): muri veri e propri o sistemi di allarme a difesa dei consumatori più o meno benestanti dagli attacchi di chi è rimasto fuori e delinque, o semplicemente da chi è escluso dal pregiudizio (emarginati, stranieri, profughi, ecc.). Le barriere, i muri, sono il simbolo di quella che Bauman chiama “Mixofobia” a cui dedica un intero capitolo, cioè la paura (data per scontata) di mischiarsi agli emarginati di qualsiasi tipo. Le armi degli esclusi sono atteggiamenti e abbigliamenti bizzarri, l’inosservanza delle regole, atti vandalici di sfida alla legge (tra l’altro spesso i giovani sedicenti anarchici e 'punkabestia' imitano questi atteggiamenti, pur provenendo da famiglie “bene”, per protesta, esternando in modo maldestro e ambiguo il proprio disagio).
Certamente non mancano anche esempi positivi di convivenze alternative, ma purtroppo esistono quasi esclusivamente nell’Europa del nord dove la densità di popolazione è molto ridotta rispetto al territorio e quindi la famosa forbice tra abbienti e meno abbienti è meno larga.
Si cerca spasmodicamente il senso perduto d’identità comunitaria che spesso sfocia in atteggiamenti secessionisti, segregazionisti o xenofobi. Il senso del “noi” dà un certo sollievo e rende la convivenza più facile, senza troppi fraintendimenti e soprattutto evita di dover comprendere, riconoscere, negoziare le differenze. Gli amministratori pubblici e i cittadini si devono quindi confrontare con problemi più grandi di loro e indubbiamente è impossibile trovare soluzioni locali a problemi sociali globali. Il motivo per cui la politica di aiutare quelli che hanno più bisogno non funziona – e non fa altro che aggravare i conflitti sociali e culturali – è che la causa profonda del generale malessere non è quello che fanno i poveri, ma lo stile di vita della minoranza dei veri ricchi e il loro modo di influenzare la rete di rapporti sociali ed economici.
Altro motivo di disgregazione deriva dal fatto che quello che Bauman definisce Homo Consumens è il componente di uno “sciame”, cioè una persona che si aggrega a un gruppo solo momentaneamente, per la durata della seduzione dell’obiettivo mutevole; quando l’obiettivo cambia, si aggregherà ad un altro sciame verso un nuovo obiettivo: “[...] Gli sciami non sono squadre, nello sciame non c’è scambio né cooperazione ma solo vicinanza fisica e direzione”.
Se ci soffermiamo a pensare, ognuno può riconoscere nella propria vita uno sciame di cui ha fatto parte per breve tempo per seguire qualche interesse (che sia esso verso il consumo di beni materiali, culturali o addirittura spirituali… ormai).
La società dei consumi si basa sull’insoddisfazione permanente, cioè sull’infelicità. Il desiderio si trasforma in bisogno e diventa un’esigenza compulsiva, una dipendenza. Chi non ha mai, neanche una volta nella vita, trovato un po’ di sollievo contro l’angoscia o il dolore facendo un po’ di “innocuo” shopping…
Ovviamente in questo sistema i poveri e gli emarginati che vorrebbero consumare ma che non possono, sono tagliati fuori e la disparità tra chi può consumare e chi non può si fa sempre più larga e quindi Bauman lancia una sfida alla morale perbenista facendo notare che la colpa dell’esclusione sociale ormai viene fatta ricadere solo sugli esclusi stessi perché essi vengono considerati rei di non aver fatto abbastanza e quindi di meritare quella condizione. “[...] Essere felici è diventato necessario al mantenimento dell’autostima, oltre a essere un segno di virtù e una condizione da ammirare. Ma se il consumo è la misura di una vita riuscita cioè della felicità e perfino della virtù, allora non c’è più limite al desiderio umano [...]”.
Da questa mentalità deriva il fatto di considerare il welfare solo un peso inutile per lo Stato e non più una delle più grandi conquiste democratiche che hanno migliorato la convivenza civile e ridato speranza a milioni di persone. Lo stato sociale (anche detto, dall’inglese, welfare state) è una caratteristica dei moderni stati di diritto che si fonda sul principio di uguaglianza e da esso deriva la finalità di ridurre le disuguaglianze sociali.
Con grande equilibrio e incredibile acume l’autore affronta questo delicatissimo tema intitolando il capitolo-appendice con una citazione biblica cioè la risposta di Caino alla domanda di Dio che chiede dov’è finito Abele: “Welfare assediato. Sono forse io il custode di mio fratello?”. Questa domanda ormai se la pone tutto il continente europeo! Per giustificare l’esistenza del welfare (un tempo istituzione quasi eccessiva e ora in fase di eccessivo smantellamento) in una società umana e civilizzata, la domanda richiederebbe la risposta affermativa, ma il “pensiero unico” basato su competitività, profitto e rapporto costo-beneficio non vi trova alcun senso.
“[...] La qualità umana di una società dovrebbe essere misurata a partire dalla qualità della vita dei più piccoli tra i suoi membri [...]” dice Bauman, ma osserva anche che non c’è nulla di “ragionevole” nell’assunzione di responsabilità, nell’essere solidali con l’infelicità dell’altro e prendersene cura, perché queste cose derivano dal senso morale. Oggi è di capitale importanza iniziare a misurare la qualità di una società dalla qualità dei suoi standard morali, anche se non rendono più ricchi né gli individui né le imprese, altrimenti la società stessa non si potrà più chiamare né umana né civile.
Al contrario, il messaggio lanciato a milioni di telespettatori dai reality show è che non ci si può fidare di nessuno e nessuno è indispensabile, la vita è un gioco duro fatto per duri, ogni giocatore gioca per sé, per andare avanti bisogna allearsi e per vincere si è costretti a tradire. La compassione e la fiducia sono sentimenti suicidi, inutili per il nostro progresso personale: è la morale della sopravvivenza, la legge della giungla…
Certo, la lettura di Bauman non è mai consolante o tranquillizzante, anzi, ma ci aiuta a prendere coscienza di meccanismi che spesso intuiamo, ma ai quali non siamo spesso in grado di dare interpretazione, né riusciamo a individuare il nesso causale tra gli eventi globali e la realtà che ci circonda. Andare oltre la superficialità ci rende più responsabili e può aiutarci ad immaginare un mondo diverso, a continuare a sognare un’alternativa e tentare di metterla in pratica almeno nel nostro piccolo, nella nostra vita e nei nostri rapporti.


Indice

- Mode volatili. L’irresistibile impulso a consumare e trasformarsi

- Lo sciame inquieto. Dall’homo politicus all’homo consumens

- Mixofobia. Alla larga dai poveri

- Risentimento. Quando il pericolo è dentro le mura

- Appendice – “Welfare assediato. Sono forse io il custode di mio fratello?”

- Bibliografia
 
Zygmunt Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Edizioni Erickson, Gardolo (TN) 2007, pp. 102, € 10

Recensione Isabella Bresci, pubblicata il 6/11/2014 su www.serenoregis.org



giovedì 9 ottobre 2014

Sogno vigile di autoguarigione con la musica

Un giorno di fine luglio di sei anni fa, sul treno Torino-Lecce sentivo forte il
bisogno di lasciar andare pensieri e ansie. Almeno fino al ritorno...  
Mi sdraio, ascolto con il walkman il brano 'The Sea' dei Morcheeba in loop.  
Provo a fare un esercizio di immaginazione creativa 
e quasi subito inizia un meraviglioso sogno lucido.
Mi astraggo completamente da ciò che mi circonda e comincio a viaggiare... 
Potrebbe sembrare un trip psichedelico ma è avvenuto senza alcun uso di sostanze, solo musica! 
Trascrivo per non dimenticare.



Spiaggia tropicale.
Sono nuda e cammino.
Il mare parla con la sua ritmica melodia... 
Mi siedo a fior di loto, ad ascoltare.
Mi rilasso, sorrido, canticchio.

Davanti a me, nel cielo, vedo il mio viso enorme e trasparente. Canta con me.
Dalla sua (mia) bocca escono fiori, tantissimi fiori variopinti, grandi e piccoli, di ogni tipo, mi parla col pensiero: "Ricorda! Ricorda!"

Poi da me che sono ancora qui seduta, esce un'altra me stessa, io a vent'anni, com'ero nell'estate del 1981, tutto è nuovo e da scoprire, gioia gioia gioia e tutto Bello Buono e Vero, tutto davanti, nulla dietro e sulle spalle.

Io ancora seduta a loto, l'altra me ride e danza leggerissima, salta, vola nell'aria, piroetta e produce colore con le mani, vapore arcobaleno che poi si dissolve.
Io sorrido e la guardo estasiata. Mi prende le mani e mi alzo, corriamo sfiorando la sabbia bianca. Leggera come lei danzo, ridiamo, sono in estasi.
La seguo nell'aria e poi nella tiepida acqua di cristallo per seguire grandi branchi di pesci gialli e blu, insieme nuotiamo con loro senza sforzo. 
Di nuovo nell'aria sorvoliamo le basse montagne coperte di vegetazione verde brillante. 
Scorgo uccelli stupendi tra il fogliame, tucani rossi e blu, e tanti altri animali, sento la Vita della foresta e del mare e dell'aria dentro di me.
TUTTO E' DENTRO E FUORI DI ME ALLO STESSO TEMPO.
Il cielo terso brilla e lento passa qualche uccello marino.
Sempre per mano Isabella mi porta con sè in questo viaggio dentro/fuori.

Poso i piedi a terra e lei mi dice che c'è una sorpresa... 
In lontananza vedo camminare verso di me Caterina!!!!!!!
Mi vede, mi corre incontro, è bellissima, e siamo troppo felici per riuscire a parlare!
Il cuore salta nel petto e ci abbracciamo come per fonderci per sempre.
Le sorprese non sono finite mi dice la mia altra me col pensiero.
Infatti vedo arrivare tante persone, una per volta, tutte le persone che ho amato, a cui ho voluto bene e che hanno fatto parte della mia vita in qualche modo.
Tutti arrivano e non c'è più passato, personalità, cose tra noi che ostacolano il fluire della corrente d'Amore, lo scorrere del Bene. 
Non riesco qui ad elencarli tutti/e ma è semplicemente meraviglioso.
Senza parole, senza mente, ci parliamo con lo sguardo pulito della Verità.
Di ognuno ricordo quello sguardo anche se in passato è stato per poco.
Il carissimo Dave mi guarda a lungo e anche con lui è gioia immensa, 
ritrovarlo dopo così tanto tempo è tanto bello...
Ci sono in lontananza tante altre persone che ho sfiorato ma con le quali non ho avuto scambi profondi. Tra loro si sentono, io li vedo tutti, è una folla enorme e tra noi percepisco fili e legami più forti e meno forti. La trama è una sola e ognuno è il punto di un filo in un immenso caleidoscopico disegno. 

A piedi nudi sulla sabbia mi viene incontro Gianni, elegantissimo, con il suo sorriso serio, respiro il suo odore personale che lo precede, è un profumo stupendo e mi ricorda quello di mio padre, un padre FORTE e presente.

Quel profumo mi trasporta via di colpo ed ho come una visione... io per mano a mio padre sul nostro 'sentierino magico' di Fenis nel 1967. Li seguo, io ho circa cinque anni, lui altissimo rispetto a me. Intorno a noi il bosco, siamo immersi in un alone blu e una cretura, forse un deva, un angelo, ci segue e ci osserva. 

Poi sulla spiaggia vedo Gemma, mia mamma... l'ho portata io qua!
L'ho presa per mano e dalla sedia a rotelle che da poco ha cominciato a usare, si è alzata. Siamo uscite dalla casa di riposo e mano a mano che camminava diventava sempre più giovane.
La vedo che esce dall'acqua dopo una bella nuotata, viene avanti con me piccina in braccio, come in una delle tante foto in bianco e nero che la ritraggono sorridente e felice.
Mi sento risucchiare dentro di lei e vengo cullata dal suo movimento, al sicuro, mentre nuota nel mare.

Dopo un po' mi ritrovo da sola con Isabella, la mia giovane me.
Facciamo un gioco! - mi dice - Il gioco dei chakra!!
Ad uno ad uno si 'attivano' per mio volere e comprendo veramente solo ora cosa sono e a cosa servono.

Il primo in basso, Muladhara, è rosso intenso; esce da me un cono di luce rossa verso il basso, giù giù fino alle profondità del pianeta dove arde il Fuoco. Dalla Terra sale linfa vitale rossa come sangue, è la vibrazione tremenda e forte della Vita, del ritmo, della passione prorompente della Natura che crea e distrugge.

Il secondo, Svadhistana, è arancione, il potere creativo, come un caldo sole si irraggia dal basso ventre e si espande sulla terra intorno a me. L'energia di accoglienza e amore materno per ogni cosa in crescita fuori ma anche dentro di me, mentalmente e spiritualmente. La creatività della natura è anche in me.

Il terzo, Manipura, è giallo, luce potente che illumina lo spazio intorno a me come in una sfera, il cui centro è la bocca dello stomaco. Ha un potere di attrazione incredibile e attraverso quella luce sento che posso esprimermi e imprimere il mio segno sulle cose, dare senso e direzione alle azioni.

Il quarto, salendo ancora su, Anahata, è un punto da cui partono raggi verdi, come luci laser. A differenza degli altri, qui ogni raggio può essere indirizzato da me in modo preciso, diretto verso le altre persone per stabilire un 'contatto', un legame, uno scambio energetico o di amore. La sua energia non brucia ma ha una forza impressionante, proprio come il laser.

Salgo ancora e percepisco il quinto, Vishuddha, una sensazione di fresco, come di brezza, intorno alla gola. Dalla mia bocca esce un'onda azzurra e vibrante che si spande come un canto melodioso che fa vibrare l'aria, lo spazio tutto intorno. Il suo potere è calmante e molto potente perchè esprime la forza della Verità.

L'onda sale verso la fronte, il sesto chackra, Adjnia, da esso esce una luce blu e io vedo come per la prima volta la realtà vibrante di tutte le cose come se una seconda vista mi permettesse di vedere l'energia condensata nella materia. Vedere e ascoltare questa vibrazione cosmica mi procura un piacere immenso.

Ora dal basso sale un brivido caldo e freddo allo stesso tempo, è un'onda che esce dalla sommità del capo, chiudo gli occhi e... tutto sparisce di colpo!
Il settimo chakra, il loto viola dal bel nome, Sahasrara, si schiude e io mi spargo nell'universo come un gioco pirotecnico in miliardi di particelle.........................................

Sono Tutto e tutto sono Io.
TUTTO E'.

MUSICA LAETITIAE COMES, MEDICINA DOLORUM
Musica compagna della gioia, medicina dei dolori


mercoledì 3 settembre 2014

Ricordo indiano - Agosto 1987

Dal Rig Veda - Inno alla dea Lakshmi*:

 https://www.youtube.com/watch?v=0Vd6xbQDTYs


Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse come la mia ombra
mi stava accanto anche nel buio
non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi
quando si dorme si perdono le mani e i piedi
io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno
durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse fame o sete o desiderio
del fresco nell'afa o del caldo nel gelo
era qualcosa che non può giungere a sazietà
non era gioia o tristezza non era legata
alle città alle nuvole alle canzoni ai ricordi
era in me e fuori di me.
Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia. 

Nazim Hikmet 
 


Prefazione

Quello che segue è il racconto di un'India che non c'è più.

Nel 1987 intrapresi un viaggio che ora sarebbe impossibile. Impossibile viaggiare in modo così sereno sia per la mia età che per i tempi che viviamo.

Gli anni ottanta non sono così lontani e già allora l'India aveva subito enormi cambiamenti dal '61 quando la descrisse Pasolini e dagli anni '60 e '70 quando era invasa dagli hippie come meta finale della Hippie Trail. Negli anni '80 ancora si viaggiava senza l'ossessione della illusoria sicurezza che dà l'essere costantemente collegati ad internet; l'arretratezza del Paese era allo stesso tempo croce e delizia dei viaggiatori.

Ora certi luoghi descritti nel mio racconto sono stati stravolti dal turismo di massa e dalla modernità che ha portato, come sempre accade, più benessere ma ancora non per tutti. Molte cose sono migliorate e molte peggiorate, altre sono rimaste com'erano.

Al tempo del mio viaggio l'India contava circa 800.000 abitanti, ora sono 1 miliardo e 400 milioni. Ha raggiunto la Cina. Dal 1998 al 2011 sono state costruite a New Delhi 6 linee di metropolitana, a Varanasi due linee di metropolitana leggera, l'inquinamento da plastica (prima inesistente o quasi) è spaventoso infatti in questo paese che è il secondo più popoloso al mondo si utilizzano ogni anno 14 milioni di tonnellate di plastica monouso.

Lo stupro coniugale a tutt'oggi non è ancora un reato e il numero degli stupri è raddoppiato. Le università indiane sfornano annualmente quasi il doppio degli ingegneri rispetto agli Stati Uniti e alla Cina però ancora una persona su quattro è denutrita, solo l'1,3% della popolazione possiede un computer e una parte considerevole vive in povertà.

Con l'aiuto delle tante fotografie scattate durante quel viaggio, trent'anni dopo ho ricostruito e assemblato in ordine cronologico i ricordi. Essi sono ancora vividi nella mia mente.

Con scandaloso ritardo ho terminato la lettura del capolavoro di Paramahansa Yogananda, Autobiografia di uno yogi. Questo libro è riconosciuto in tutto il mondo come un classico della letteratura spirituale. Per comprendere l'attrazione metafisica che questo Paese ha indotto e ancora induce in moltissime persone, la lettura di questo testo è imprescindibile.

Dedico questo diario di viaggio a tutti i “sorrisi ambulanti”, i bambini di strada indiani.

***

Non volevo andare in India. Temevo l'ignoto e la povertà. Fortunatamente sono partita perché si è rivelata un'esperienza fondante. A distanza di 34 anni certi profumi di spezie e il suono del sitar ancora mi provocano il Mal d'India... una volta preso, non passa. L'India che racconto non esiste più, per questo ho voluto farle omaggio e fare omaggio a me stessa che all'età di 26 anni, con santa incoscienza, senza GPS, cellulari o guide che non fosse la Lonely Planet, ho intrapreso il mio unico vero "viaggio", sulle sue strade indiane e dentro di me.
 
Parte 1° - New Delhi

Mentre l'aereo si avvicinava alla pista di New Delhi, il panorama era veramente estraneo, un'enorme distesa color erba secca divisa in forme geometriche quadrate.
Caldo. Caldo umido mai provato che piega le gambe e chiama fuori tutta l'acqua che si ha in corpo. Appena fuori dall'aeroporto un caldo così proprio non me lo aspettavo...
Sul grande taxi nero londinese tiro giù il finestrino ma subito lo richiudo perché ricevo in faccia aria bollente come da un enorme phon. Odore di polvere di terra sconosciuta. Il taxista ci avvisa che la sera è bene evitare di uscire perché c'è una sorta di coprifuoco in conseguenza alle annose tensioni con lo stato del Punjab confinante a nord, che vorrebbe l'indipendenza.
Arrivati in città, nella cacofonia di suoni della strada, non capisco nulla, tutti suonano, tutti corrono, tutti passano. Cerco un semaforo ma non lo trovo, cerco di attraversare e penso di rinunciare, poi mi butto e attraverso insieme ad una donna. Lentamente, e magicamente le auto si fermano per lasciarci passare. Nelle strade strette, odori di spezie sconosciute, profumi acri e dolci che stimolano il mio cervello, acuiscono l'attenzione 'animale'.
Cantilene e teste ondeggianti che mi danno indicazioni. Tanti volti seri di uomini e donne avvolte nei sari oppure coi panjabi, tutti camminano veloci. 
E poi loro... i sorrisi ambulanti, i bambini... nonostante il caldo atroce, i piedi nudi e addosso solo straccetti sporchi, loro sorridono, ridono; qualcuno mi tira delicatamente la camicia con le manine. Bashis bashis... 'elemosina', è la parola che risuona ovunque, il suono è questo ma chissà come si scrive!. L'insensibilità dei poliziotti verso questi piccoli è a dir poco intollerabile: "Ma le danno fastidio, lady..." - "E lei pensi agli affari suoi, mister!"


Ospiti di una donna conosciuta in aereo, passiamo la notte caldissima a casa sua e al mattino ci mostra il centro yoga e l'asilo per bambini che gestisce. Povero, con giochi rudimentali che ricordano i nostri degli anni '50-60 e una vecchia maestra o babysitter, bidella, chi lo sa. 
All'ufficio postale, il 24 luglio inviamo a casa il primo telegramma. Telefonare è molto complicato, non si riesce a prendere la linea. "Manderemo telegrammi, promesso mamma" avevo detto prima di partire. Ancora non so come ho fatto a convincerla... 




Siamo in centro nel quartiere del bazar, il Chawri Bazar e dopo una bella camminata sfiancante capitiamo nella moschea, saliamo sul minareto e poi di nuovo giù. Si sta bene all'ombra sul pavimento fresco. Mentre siamo lì a rilassarci arriva un bimbo con il padre, ci sorride. Poi, nascosta dietro una colonna, noto una bambina molto povera con in braccio la sorellina. Poco dopo la vedo dietro un'altra colonna, più vicina. Mi aspetto che venga a chiedermi l'elemosina ma non osa avvicinarsi di più. Le faccio segno di avvicinarsi. E' veramente poverissima... Invece dei soldi mi chiede photo, photo facendo il gesto di fotografare. Massimo scatta la foto e io vorrei portarmela a casa...


                                                             




Dopo aver visto lebbrosi su carrellini che spingono con le mani, e altre orde di bambini in miseria, ci viene l'urgenza di fuggire per luoghi più umani. Dopo due giorni di frastuono cercando di capire cosa vendono nei negozi, pensiamo di andare nel Rajastan, a Pushkar, un piccolo paradiso intorno ad un lago sacro che gli amici ci avevano indicato. Ma prima faremo tappa a Jaipur, la città rosa, famosa per le pietre preziose, l'argento, la seta e il Palazzo dei venti**

Sposa di Vishnu e for­za creatrice dell’Universo, Lakshmi è la personificazione della saggezza. Il suo fiore è il loto, su cui viene spesso rappresentata seduta. Il loto è una pianta di grandissima simbologia spirituale e filosofica perché nasce nel fango ma emerge alla luce, galleggiando sulla superficie dell’acqua. Nel caso di Lakshmi il loto indica anche che i frutti positivi della fortuna derivano dal lavoro, dalla perseveranza, da quel che è stato seminato nel passato, e anche dalla capacità di trasformare il potenziale del fango e dell’acqua in qualcosa di diverso, buono, bello e utile. 

** L'Hawa Mahal, questo edificio di cinque piani, è in realtà un’estensione del Palazzo Reale, un alto muro che doveva servire da schermo per le donne della famiglia reale, che dietro di esso potevano assistere alle cerimonie che si svolgevano in strada senza che nessuno potesse vederle. 


CONTINUA CON LA 2° PARTE: 

lunedì 26 maggio 2014



 

"Abbasso le armi!"


Un ritratto di Bertha von Suttner  


(Praga, 9 giugno 1843 – Vienna, 21 giugno 1914)


  



A volte il destino è clemente, come nel caso di Bertha von Suttner che dopo una vita passata a promuovere la causa della pace tra le nazioni, morì il 21 giugno 1914, cioè una settimana prima del fatale attentato di Serajevo che diede inizio alla Prima Guerra Mondiale. Fu una pioniera del movimento pacifista che ebbe origine verso la fine dell'ottocento e fu la prima donna a ricevere il premio Nobel per la Pace nel 1905; se vi recate in Austria troverete il suo volto raffigurato sulla moneta da due euro.

In Italia pochi la conoscono, purtroppo, ma quest'anno si celebrano i cento anni dall'inizio della Prima Guerra Mondiale e la sua figura riemerge da quel passato che non è poi così lontano. Era di famiglia aristocratica, infatti il suo nome completo è Bertha Sophia Felicita dei conti Kinsky von Chinic und Tettau, però lei sentiva di non appartenere a quel mondo e infatti col tempo se ne allontanò per vivere del suo lavoro come istitutrice e segretaria. La vita degli anni della giovinezza le permisero in seguito di descrivere efficacemente quell'ambiente conservatore dove la carriera militare e la gloria delle medaglie era la massima aspirazione e un modo di avanzare nella scala sociale.

Bertha von Suttner fu una scrittrice prolifica ma il vero successo arrivò solo con il romanzo Abbasso le armi! uno straordinario documento storico attraverso il quale riuscì a diffondere efficacemente le idee pacifiste che le stavano a cuore. Il libro all'inizio trovò le solite resistenze alla pubblicazione da parte degli editori a causa delle idee rivoluzionarie che veicolava ma infine venne pubblicato a Dresda nel 1889 quando l'autrice aveva quarantasei anni e in seguito venne tradotto in venti lingue. La sua intuizione che un romanzo avvincente sarebbe stato sicuramente più efficace di un trattato per divulgare le sue idee, si rivelò corretta. Leggendo si è indotti a pensare che la protagonista Martha sia in realtà l’autrice, tanto la narrazione è intensa e realistica. Con un abile artificio narrativo scavalca i dubbi di proselitismo: «Non hai qualche timore? Si nota la tua intenzione e questo può irritare – fa dire al figlio della protagonista verso la fine del romanzo – Ciò può valere soltanto quando si intuisce che l’autore crede di poter tenere nascosta la sua intenzione con furbizia. Ma la mia è lì, chiara come la luce del sole; è già resa nota dalle tre parole del titolo. (…)».

Questo successo si spiega per vari motivi: prima di tutto il grande talento narrativo, la capacità di descrivere i caratteri e i sentimenti umani con notevole approfondimento psicologico unita alla conoscenza dettagliata della situazione politica. La novità rappresentate dal romanzo erano innanzitutto il racconto della guerra dalla prospettiva di una donna e le descrizioni incredibilmente realistiche delle spaventose battaglie che nessuno aveva mai fatto. Il tema della pace, rivoluzionario per quell'epoca, riuscì a scuotere molte coscienze e il grande Tolstoj scrisse: «La pubblicazione del vostro libro è per me un buon segno. Il libro La capanna dello zio Tom ha contribuito all’abolizione della schiavitù. Dio faccia sì che il vostro libro serva allo stesso scopo per l’abolizione della guerra».

Il libro uscì in concomitanza con alcuni importanti eventi e questo favorì l'attenzione del pubblico verso di esso: l'Esposizione internazionale a Parigi, le celebrazioni per il centenario della Rivoluzione Francese ma soprattutto il Congresso Universale della Pace che diede modo di incontrarsi a tutti i pacifisti del mondo e ai parlamentari che costituirono l'Unione Interparlamentare. Il romanzo venne anche pubblicato a puntate sulla rivista «Varwarts» (Avanti), la von Suttner infatti simpatizzava per i socialisti perché il pacifismo era un punto importante del loro programma ma non aderì mai ad alcun partito politico perché la Lega per la Pace aveva come unico obiettivo la pace internazionale e Bertha era sicura che questa avrebbe alleviato la povertà e la tensione sociale; era infatti fermamente convinta che prima fosse indispensabile il disarmo e che le condizioni sociali sarebbero migliorate di conseguenza.

Il racconto non manca ogni tanto di punte di ironia e di sarcasmo, specialmente quando parla delle contraddizioni insite nei discorsi religiosi relativi alla protezione degli eserciti in guerra:
«(…) Non rimane che invocare la benedizione del cielo sui combattenti. Poiché questo è certo: al buon Dio deve interessare molto che il protocollo dell’8 maggio sia mantenuto e che la legge del 13 gennaio sia annullata. Egli deve guidare le cose in modo da fare sì che muoiano tanti uomini e brucino tanti villaggi quanti ne occorrono perché il ramo dei Gluckstadt o quello degli Augustenburg regni sopra questa piccola particella del globo terrestre. (…)».

Abbasso le armi! è un libro poco conosciuto in Italia; viene tradotto e pubblicato la prima volta nel 1897 dalla famosa casa editrice Fratelli Treves Editori, le Edizioni Gruppo Abele lo rieditano nel 1989 e nel 1996 viene ripreso dal Centro Stampa Cavallermaggiore.
Quest'anno, nell'anniversario del primo conflitto mondiale, è stato ristampato e spero vivamente che venga riscoperto perché oltre ad essere una lettura avvincente, ci rende consapevoli di come fosse terribile la guerra anche prima del novecento: scontri tra eserciti fatti di feroci combattimenti sui campi di battaglia dove i feriti venivano abbandonati agonizzanti per giorni perché il servizio infermieristico era assolutamente inadeguato. Viene riportato che il Ministro francese delle Finanze Dunajewski nel 1890 disse: «Signori, prendetevi alcune ore di tempo per leggere Die Waffen nieder!. Vergogna a tutti quelli che, avendolo letto, si sentono ancora in grado di muovere guerra!».

Il romanzo è basato su approfondite ricerche di materiali e resoconti sulle atrocità della guerra, incontri avuti con generali, studio di cifre e bilanci dell'esercito e della Croce Rossa allora appena istituita. Questa ebbe un inizio travagliato per l'opposizione di molti e la von Suttner ne apprese i dettagli. Avviò quindi una corrispondenza col fondatore, lo svizzero Henri Dunant, che grazie alla sua influenza personale su Alfred Nobel, nel 1901 ottenne il Premio Nobel per la Pace.
Queste sue parole rendono bene l’idea del suo pensiero in proposito:
«(…) La cosa più stupefacente, a me sembra, è che gli uomini si possano mettere da soli, volontariamente, in uno stato simile; che gli uomini che hanno visto cose simili non cadano in ginocchio prestando il giuramento più appassionato di fare la guerra alla guerra e, se sono re o principi, non gettino via la loro spada e, se invece non hanno potere, non consacrino almeno la loro attività di parola, di penna, di pensiero, d’insegnamento e di azione ad uno scopo: abbasso le armi! (…)».

Come donna occupava una posizione privilegiata. Era accettata in un mondo di uomini, partecipava come gli uomini a molti eventi ufficiali, come la Conferenza de L'Aja, ove aveva lo status speciale di giornalista acquisito fondando la rivista «Die Waffen nieder!» (Abbasso le armi!) avente come scopo di appoggiare l'Unione Interparlamentare e i Congressi Universali della Pace. L'aver iniziato la sua carriera di pacifista al Campidoglio di Roma, prima donna ad aver tenuto un discorso, le conferì probabilmente grande coraggio e fiducia. Da quel momento diventò uno dei conferenzieri più famosi del suo tempo, riconosciuta come scrittrice di livello e leader pacifista. Ispirava rispetto e nessuno rimaneva indifferente perché aveva l’autorevolezza di chi lavora instancabilmente per un alto ideale. La stampa maschilista dell’epoca la deride con vignette satiriche ma lei non se ne cura e continua a dire: «(…) le donne non staranno zitte. Scriveremo, terremo discorsi, lavoreremo, agiremo. Le donne cambieranno la società e loro stesse (…)» e dopo il suo discorso in Campidoglio l’ironia maschile si tramutò in ammirazione. Non aderì direttamente al movimento femminista ma lo seguì con interesse incoraggiandolo sempre.

E' da poco stato tradotto e pubblicato da Moretti&Vitali il volume Alfred Nobel, Bertha von Suttner - Un'amicizia disvelata, il carteggio della corrispondenza tra i due dal 1883 al 1896 che ci permette di comprendere le circostanze e seguire i passi che avrebbero portato all’istituzione del premio Nobel per la pace. Bertha von Suttner ebbe frequenti contatti con Alfred Nobel, ma allo stesso tempo prese le distanze dalle sue teorie secondo le quali la pace doveva essere «armata». Nella complessa personalità di Alfred Nobel convivevano il chimico e il poeta, l’inventore della dinamite e il pacifista, il misantropo e l’amico fedele della von Suttner. La pace armata di Nobel implicava un potenziale di distruzione bellica che, se portava all'eliminazione degli eserciti, metteva però in pericolo tutta l'umanità e comportava uno spreco di risorse e di energie che si potevano utilizzare altrimenti. I quarantacinque anni di Guerra Fredda hanno tristemente dato ragione alla nostra autrice… La soluzione ipotizzata dalla von Suttner consisteva invece nel disarmo totale di tutte le nazioni e nell'istituzione di una «Corte d'Arbitrato» che risolvesse i conflitti internazionali facendo ricorso al diritto e non alla violenza; vi è stato un tentativo di realizzare questo con l'istituzione dell'ONU ma come è ormai evidente esso ha miseramente fallito.

Curiosamente, uno dei pericoli per la pace, per la von Suttner consisteva nell’americanizzazione globale: «(…) un fenomeno ravvisato da alcuni dei nostri contemporanei più perspicaci. Quel’è la necessità per gli uni di essere assorbiti dagli altri? Non è meglio che le culture si compenetrino l’un l’altra e che si viva insieme dopo aver realizzato l’unità al maggior livello possibile? Questo è lo scopo della società umana che lavora per il progresso (…)».
Fino alla fine continuò a viaggiare per diffondere la sua missione di pace, a scrivere e a tenere conferenze, anzi, col passare degli anni il suo impegno aumentò. Aveva compreso che era necessario convincere le classi dominanti a schierarsi per la pace, e sapeva che era necessario rivolgersi ai politici, quindi cercò di farsi ascoltare servendosi della sua influenza. Incontrò molti dei leader del suo tempo e per questo viaggiò moltissimo in Europa e negli Stati Uniti e molti compresero il suo messaggio. I risultati che ottenne però, purtroppo non furono sufficienti ad arrestare il nazionalismo estremo e l’aggressività delle politiche imperialiste che stavano aumentando in quel periodo e che sfociarono infine nella Prima guerra Mondiale. Forse per un presentimento, nell'ultimo periodo si sentiva più sfiduciata e pessimista perché non sentiva coinvolgimento da parte dei giovani e la situazione internazionale non sembrava migliorare.
Come si diceva all'inizio il destino le risparmiò di assistere all'ecatombe del primo conflitto mondiale che vedrà l'utilizzo di molte armi nuove come la mitragliatrice, i gas, i carri armati e gli aerei e dove ci furono circa dieci milioni di morti tra i militari, circa sette tra civili in seguito a azioni militari e carestie e ventuno milioni di feriti. Dopo questa carneficina i suoi libri, i suoi appelli e il ricordo dei suoi sforzi caddero nell'oblio per lungo tempo come spazzati via dall'immane tragedia.

Il suo importante messaggio però era come un piccolo seme destinato a germogliare molto tempo dopo, come spesso accade nella storia dell'umanità, i tanti movimenti internazionali lo testimoniano anche se purtroppo la guerra, non solo esiste ma è diventata come si usa dire «diffusa» cioè globale, senza più un nemico facilmente individuabile perché messa in atto per accaparrarsi le risorse del pianeta e spesso portata avanti da bande di mercenari assoldati dalle varie potenze.
«(…) Ogni guerra, qualunque sia il suo esito, contiene sempre il germe di una guerra successiva. Ed è più che naturale. Un atto di prepotenza offende sempre qualche diritto. L’offeso fa valere presto o tardi le sue ragioni e allora il nuovo conflitto viene risolto da una nuova prepotenza, gravida di ingiustizie, e così di seguito senza fine. (…)».
  
Cosa direbbe oggi, a noi contemporanei, Bertha von Suttner? Molto probabilmente ci spronerebbe dicendo: «Non arrendetevi mai e lavorate per diffondere e realizzare l’ideale della Pace!».
Il suo messaggio è più attuale che mai.